Hypothermie accidentelle: amie ou ennemie?

De la phisiologie de l’hypothermie à la prise en charge: une aventure glaçante…

Matthieu De Riedmatten

Introduzione

Matthieu De Riedmatten, specialista in terapia intensiva e past president del GRIMM di Sion, il 1° febbraio 2022 ha tenuto una conferenza dal titolo “Ipotermia accidentale: amica o nemica? Dalla fisiologia dell’ipotermia alla gestione: un’avventura agghiacciante…”

Nel corso degli ultimi decenni la presa in carico dell’ipotermia accidentale ha fatto enormi progressi.

Grazie all’impiego della circolazione extra-corporea e all’ECMO si è, infatti, verificato un miglioramento della prognosi relativa ai pazienti in arresto cardio-respiratorio (ACR) che non sopravvivevano ai metodi di riscaldamento tradizionale (dialisi-lavaggio peritoneale).

In medicina si parla di ipotermia indotta, terapeutica e accidentale.

Con il recupero di un paziente in ipotermia accidentale, con temperatura corporea pari a 13,7°C, si è raggiunto il record di riscaldamento. Per quanto riguarda l’ipotermia indotta il record di riscaldamento è stato raggiunto in una persona con 9°C di temperatura corporea.

Si parla di ipotermia quando la temperatura corporea centrale del corpo scende al di sotto di 35°C. L’uomo è un essere omeotermo con una temperatura corporea che oscilla tra 35 e 37°C. Esiste una zona termica neutra nella quale la termoregolazione non viene attivata.

L’ipotermia accidentale è inaspettata e incontrollata. Se dipende dall’esposizione al freddo viene definita primaria. Se, invece, viene causata dal malfunzionamento della termoregolazione (TCC), da una diminuzione della produzione di calore (ipoglicemia) o da un incremento delle perdite di calore (OH, tossine), si tratta di un’ipotermia secondaria. La diminuita produzione di calore può avere un’origine endocrina (chetoacidosi diabetica, ipoadrenalismo, ipopotuitarismo o acidosi lattica), può essere provocata da un’insufficienza alimentare (esercizio fisico estremo, ipoglicemia, malnutrizione) o da una compromissione dell’apparato muscolare (età avanzata, alterazione dello shivering ed inattività). L’aumentata perdita di calore può essere provocata da malattie dermatologiche (ustioni, vasodilatazione indotta, medicazioni o tossine), o può avere un’origine iatrogena (parto in emergenza senza prevenzione di ipotermia, infusioni fredde o trattamento del colpo di calore). Altre cause possono essere la carcinomatosi,le malattie cardiopolmonari, le infezioni maggiori, i politraumi e lo stato di shock.

Il tardigrado è l’essere vivente più resistente al freddo. Misura un millimetro, possiede 8 zampe e vive un po’ ovunque sul pianeta e resiste in ambienti estremi. Può sopravvivere per anni senza bere. Può vivere a temperature vicine allo zero assoluto (-273,35 °C) e può andare in criptobiosi, uno stato di morte apparente nel quale tutte le sue funzioni vitali vengono sospese. Attualmente pare viva anche sulla luna (sonda israeliana Beresheet). Un tardigrado congelato per trent’anni è ritornato alla vita!

Nel corpo umano esistono recettori termici, quali pelle, vasi sanguigni, organi interni, muscoli scheletrici, sistema nervoso centrale (mesencefalo, midollo allungato e ipotalamo).

La termogenesi che non produce brivido ha origine nel tessuto adiposo bruno. Gli scambi termici tra l’ambiente e l’organismo avvengono tramite radiazione, evaporazione, convezione e conduzione. La velocità di raffreddamento del corpo umano dipende dall’età, dall’acclimatazione al freddo, dalla superficie corporea, dall’isolamento (abiti, grasso), dalla capacità di sviluppare il brivido (shivering), dal movimento, dal gradiente di temperatura, dalla superficie di contatto (aria, neve, acqua) e dalle condizioni locali (vento, umidità). Questo fattore è molto importante in caso di sommersione o di travolgimento da valanga. La velocità di raffreddamento è molto più rapida nei bambini a causa della minore efficacia dello shivering, e, a volte,della minor quantità di grasso sottocutaneo e della grande superficie corporea in rapporto al peso.

Il raffreddamento cerebrale protegge da una ipotermia cerebrale irreversibile.

Tra le conseguenze provocate dal freddo a livello cellulare rivestono particolare importanza i danni della membrana, la perdita di acqua intracellulare, lo squilibrio elettrolitico e la modificazione strutturale delle proteine. In una fase precoce si assiste ad un’alterazione funzionale di base, mentre tardivamente si verifica la cristallizzazione dell’acqua extracellulare e più o meno dell’acqua intracellulare, con conseguente morte della cellula.

Dal punto di vista metabolico il consumo di ossigeno si riduce del 50% a 10°C. Il metabolismo basale si riduce del 50% a 30°C, del 20% a 20°C e del l’8% a 10°C. Aumenta la tolleranza all’ipossia (25 minuti in un adulto di più di 60 anni e 40 minuti in un neonato). Il debito cardiaco diminuisce del 45% a 25°C. Si verificano una ipervolemia centrale relativa ed una riduzione dell’ormone antidiuretico (ADH). Il paziente gravemente ipotermico è disidratato. L’iperglicemia, che aumenta la diuresi, è dovuta alla glicogenolisi e induce una diminuzione di produzione di insulina. Il rischio di ipotensione nel corso del riscaldamento è molto elevato. L’ematocrito aumenta del 2% per ogni grado di temperatura perso. Un ematocrito normale evoca un’anemia preesistente o la presenza di perdite ematiche.

L’ipokaliemia è frequente (shift intracellulare). L’iperkaliemia si instaura al di sotto dei 17°C a causa del rallentamento della pompa Na-K-ATPasi. L’iperkaliemia severa rappresenta un marcatore di acidosi, della morte cellulare ed è un segno di prognosi non favorevole.

La funzionalità delle piastrine diminuisce e,al di sotto di 34°C, si verifica una trombocitopenia. Una coagulopatia è frequente ed aumenta il tasso di mortalità nel traumatizzato ipotermico. Viene definito triangolo della morte del traumatizzato l’associazione di ipotermia, acidosi e coagulopatia.

A livello dell’apparato respiratorio si verifica un’iniziale iperventilazione (acidosi, stress). Successivamente subentra una brachipnea (frequenza respiratoria <5/minuto a partire da una temperatura < 30°C).

Si riduce la sensibilità alla CO2, mentre si mantiene quella all’ipossia.

A livello del sistema cardiovascolare si verificano un’iniziale vasocostrizione cutanea (inibita dall’alcol) e, poi, perdita della vasocostrizione a partire da una temperatura <24°C. L’iniziale tachicardia legata allo shivering viene seguita da una bradicardia proporzionale alla caduta della temperatura del 50% a 28°C. Al di sotto di 32°C compaiono bradicardia sinusale e le onde di Osborne. Al di sotto di 28°C vi è un rischio elevato di fibrillazione ventricolare e di asistolia (20°C).

La bradicardia non risponde alla somministrazione di atropina. In caso di tachicardia si deve pensare ad altre cause (trauma?).

Per quanto riguarda il sistema nervoso si assiste ad una diminuzione dei riflessi che scompaiono al di sotto di 28-30°C. Le pupille sono dilatate e non reattive alla luce a partire da 28°C. Lo stato di coscienza del paziente dovrebbe essere correlato alla temperatura centrale.

Gli stadi clinici dell’ipotermia secondo la classificazione svizzera sono:

  • Leggera (I): <35°C, soggetto cosciente, con brividi
  • Moderata (II): <32°C, soggetto sonnolento senza brividi
  • Severa (III): <24°C, stato di incoscienza
  • Stato di morte apparente (IV): perdita della coscienza e della sensibilità, impossibilità di percepire il battito cardiaco e i movimenti respiratori, mancanza dei riflessi
  • Situazione irreversibile (V): decesso

La validità di questa classificazione è del 52%. Nel 19,6% dei casi vi è una sottostima della temperatura centrale. Nel 28,4% dei casi viene segnalata, invece, una sovrastima della temperatura centrale. La scala di valutazione svizzera presenta, dunque, alcuni limiti. Sono stati descritti in letteratura 23 casi di ipotermia profonda con parametri vitali presenti non correlati con lo stadio IV della classificazione svizzera. Vi possono essere un rischio diagnostico e di trattamento inappropriato. È possibile, cioè, che il paziente venga considerato deceduto, sovrastimando la temperatura corporea e sottostimando un arresto cardiaco al momento della presa in carico. In conclusione la classificazione svizzera resta valida, ma la correlazione con la temperatura deve essere affinata. Risulta utile per facilitare il triage ed il trattamento urgente. Lo shivering non è un segno affidabile e può essere abolito per vari motivi; non dovrebbe essere utilizzato nella diagnosi degli stadi dell’ipotermia. Se il paziente presenta lo shivering la temperatura corporea è superiore a 30°C. Lo stato di coscienza è il miglior segno clinico per valutare la gravità dell’ipotermia.

La valutazione della gravità dell’ipotermia richiede la misura della temperatura corporea centrale. La tolleranza cerebrale all’ipossia è di 3 minuti a 37°C e di 20 minuti a 20°C.

Lo stato di ipotermia determina una bradicardia estrema e una diminuzione del volume di eiezione, ma probabilmente non lividi. Il freddo provoca eritemi (emolisi?).

La storia di Anna Bagenholm

Anna Bagenholm, medico svedese di 29 anni, il 20 maggio 1999 è caduta in un fiume ghiacciato alle 18,20, vicino a Narvik, Norvegia, durante un’escursione con gli sci. È rimasta senza vita per 45 minuti. Alle 19,40 la donna è stata liberata dal ghiaccio. La rianimazione cardio-polmonare (RCP) è incominciata dopo 80 minuti dalla caduta nel fiume e circa 40 minuti dopo l’arresto cardiaco. Il ricovero in ospedale è avvenuto alle 21,10 con una temperatura corporea di 13,7°C e una kaliemia di 4,3 mmol/L. Alle 21,40 è iniziato il riscaldamento con ECLS. Alle 21,15 ritorno alla circolazione spontanea della paziente (ROSC). L’HOPE score era 86%.

Nobody is dead before warm and dead.

Nel nord della Norvegia è stato effettuato tra il 1985 e il 2013 uno studio retrospettivo su 34 vittime di ipotermia accidentale (HA): tra il 1985 e il 1999 nessuno è sopravvissuto; tra il 1999 e il 2013 il 37,5% è sopravvissuto. La temperatura più bassa registrata è stata 13,7°C. La durata più lunga dell’intervallo tra arresto cardiaco e ritorno alla circolazione spontanea dei pazienti (ROSC) è stato di 6 ore e 52 minuti. Il solo fattore predittivo per la sopravvivenza è stato il basso tasso sierico di potassio. La sommersione non era associata ad una riduzione della sopravvivenza. Il costo della presa in carico dei non sopravvissuti è stato ragionevole. La maggior parte di coloro che sono sopravvissuti hanno avuto una buona evoluzione neurologica.

Uno studio realizzato a Vienna su 3800 casi di arresto cardiaco (ACR) tra il 1991 e il 2010 ha individuato 18 casi dovuti a ipotermia (temperatura <28°C). La percentuale di sopravvivenza alla dimissione dall’ospedale è stata del 50% (9 su 18). L’evoluzione neurologica è stata favorevole nel 100% dei casi (9 su 9). L’arresto cardiaco derivante da un’ipotermia accidentale è una condizione rara, con una potenzialità eccellente di recupero neurologico se il trattamento è corretto.

Una review di 13 articoli di buona qualità effettuata nel 2014 in casi di ipotermia pura ha evidenziato il 67,7% di sopravvivenza con il 61,5% di buona evoluzione neurologica. Si è registrato un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti in ipotermia severa riscaldati con ECLS. Fattori predittivi per una prognosi sfavorevole: arresto cardiaco ipossico, kaliemia superiore a 10 mmol/L, asistolia.

Cause asfissianti

Circostanze particolari associate all’ipotermia: annegamento e valanga.

Nell’ipotermia associata a uno stato di ipossiemia si registra il 23,4% di sopravvivenza, con il 9,4% di buona evoluzione neurologica. Ogni anno si registrano 372.000 morti per annegamento (oltre 40 decessi/ora). In caso di sommersione (testa sott’acqua) con temperatura superiore a 6°C da 2,5 a 5 minuti la prognosi è buona; oltre i 10 minuti la prognosi è sfavorevole; oltre 25-30 minuti non vi è alcuna probabilità di sopravvivenza. In grotta se la temperatura dell’acqua è molto fredda (<6°C) e se la vittima è un bambino vi è una scarsa probabilità di sopravvivenza se la sommersione è quasi totale. La tragedia del Titanic è stata il più celebre esempio di morte per ipotermia per immersione in acqua fredda.

Un altro episodio è stato quello accaduto in Danimarca con quindici persone in immersione nel mare a 2°C e sette individui in arresto cardiaco (ACR) e in ipotermia (temperatura media 18,4°C). Il riscaldamento è stato effettuato con ECMO con una sopravvivenza del 100%. Una disfunzione cognitiva leggera è stata riscontrata in sei pazienti e una disfunzione cognitiva severa in un solo paziente.

Ogni anno si registrano circa 150 morti dovute a travolgimento da valanga. In base ad una statistica autoptica effettuata su 311 casi di morte in valanga, i decessi risultano dovuti nell’81,7% ad asfissia, nel 17,3% a trauma e nell’1% a ipotermia (Tough 1993, McIntosh 2007, Hohirieder 2007, Boyd 2009).

Dai dati contenuti nel registro traumi di Sion in Svizzera si evidenzia che dal 2018 su 10 pazienti ipotermici (8 travolti da valanga) riscaldati con ECMO nessuno è sopravvissuto.

Uno studio realizzato a Innsbruck in Austria su 28 vittime da valanga in arresto cardiaco (ACR) in ipotermia e riscaldati tramite circolazione extra-corporea ha riscontrato che 25 soggetti erano in ACR al momento dell’estrazione dalla valanga; nessuno è sopravvissuto. Tre soggetti erano collassati nel corso dell’intervento di soccorso con temperatura corporea rispettivamente di 21,7°C, 22°C e 24°C. I due sopravvissuti hanno avuto, a lungo termine, un buon recupero neurologico. La prognosi di vittime da valanga ipotermici in asistolia seguita da arresto cardiaco senza testimoni ed una temperatura centrale uguale o inferiore a 24°C è molto infausta.

Malgrado le statistiche relative alla sopravvivenza, si può resistere per lungo tempo sotto una valanga. Certo è che sotto una valanga si può anche morire di ipotermia. In caso di seppellimento da valanga con arresto cardiaco (ACR) la probabilità di sopravvivenza dipende dal rescue collpase (causa non asfissiante), dalla bassa temperatura e dal basso potassio sierico.

Trattamento extra e intra-ospedaliero

ERC (European Resuscitation Council

Resuscitation Guidelines 2021

I due punti importanti della presa in carico sono: un accurato triage e individuare un ospedale dotato di ECMO o di CEC.

Di seguito le ultime linee guida su come intervenire in caso di ipotermia:

  • Ipotermia leggera (temperatura <35°C): in caso di presa in carico extra-ospedaliera, sono previsti somministrazione di ossigeno, di bevande calde e zuccherate, di barrette, mobilizzazione del paziente in assenza di trauma, sostituzione degli indumenti umidi, isolamento dal freddo (bubble wrap), riscaldamento attivo esterno per il trasporto, misurazione della temperatura centrale (epitimpanica), trasporto presso l’ospedale più vicino.

In caso di presa in carico intra-ospedaliera: sostituzione degli indumenti umidi, mobilizzazione del paziente in assenza di trauma, isolamento dal freddo, somministrazione di bevande calde, rilevazione della temperatura centrale (epitimpanica), riscaldamento passivo e attivo esterno, sorveglianza.

  • Ipotermia moderata (temperatura tra 31 e 28°C): il trattamento extra-ospedaliero prevede l’immobilizzazione del paziente (salvo presenza di shivering o se il paziente è in piedi),il trasporto del paziente in posizione coricata, la mobilizzazione con delicatezza, l’infusione di soluzione glucosata, l’ECG e la misura della temperatura centrale (epitimpanica o esofagea), il trasporto presso un centro ospedaliero dotato di ECMO se la temperatura è inferiore a 32°C, se la persona è anziana o in presenza di comorbidità, o se la temperatura è inferiore a 30°C in un bambino. In trattamento intra-ospedaliero consiste in riscaldamento attivo esterno o attivo interno, ECMO se la temperatura è inferiore a 30°C, sorveglianza del paziente, prevenzione di un eventuale “rescue collapse”. I rischi nella fase di riscaldamento attivo esterno sono: “afterdrop” (la temperatura continua a diminuire anche dopo che l’esposizione al freddo è terminata; ritorno del sangue freddo e acido verso il cuore durante il riscaldamento delle estremità, perfusioni fredde, “rescue collapse”); stato di shock durante la fase di riscaldamento dovuto a un volume di sangue circolante inadeguato.
  • Ipotermia severa (stadio III, temperatura centrale inferiore a 28°C) Trattamento extra-ospedaliero: mettere in sicurezza le vie aeree (se necessario), trasporto verso l’ospedale più vicino dotato di ECLS (CEC o ECMO). Trattamento intra-ospedaliero: presa in carico uguale a quella dello stadio II, riscaldamento attivo esterno con ECLS se la temperatura è inferiore a 28°C e in caso di insuccesso del riscaldamento mini-invasivo, di aritmie ventricolari, insufficienza respiratoria, acidosi respiratoria, ROSC.
  • Ipotermia severa con arresto cardiaco (ACR) (stadio IV)

Trattamento extra-ospedaliera: se la temperatura centrale è inferiore a 30°C: valutazione prolungata dei segni vitali, iniziare e continuare la rianimazione cardio-respiratoria (RCP) con Lukas -autopuls, se necessario effettuare un massimo di tre scariche con defibrillatore, evitare farmaci e pacing se la temperatura è inferiore a 30°C, trasporto verso un ospedale dotato di ECLS, monitoraggio della qualità della RCP (CO2, saturazione, temperatura).

Trattamento intraospedaliero: ECLS (CEC, ECMO).

In più

In caso di ipotermia accidentale di stadio IV si deve effettuare la RCP continua e di qualità. La catena del riscaldamento non va interrotta, grazie a ECLS e alle cure intensive post-riscaldamento.

Sempre nella presa in carico ospedaliera vanno confermati i criteri di riscaldamento: temperatura, dosaggio del potassio sierico, applicazione dello score HOPE.

Per quanto riguarda la misurazione della temperatura corporea il gold standard è rappresentato dalla rilevazione nel terzo inferiore dell’esofago nel paziente intubato.

In relazione al dosaggio del potassio sierico, uno studio retrospettivo su una popolazione di soggetti travolti da valanga in arresto cardiaco (Cohen et al.) ha evidenziato che la soglia di 4,35 mmol/L è predittiva di un’ipossia cerebrale nel 100% dei casi.

Il dosaggio del potassio sierico costituisce il solo fattore predittivo di sopravvivenza. La soglia desiderabile è 7 mmol/L nelle vittime di valanga e di 12 mmol/L in tutti gli altri casi di ipotermia accidentale. L’affidabilità del dosaggio dipende dal punto del prelievo (periferico, centrale, arterioso, venoso), dal metodo di dosaggio, dal mezzo di conservazione e di trasporto. Fattori perturbanti che possono produrre falsi positivi sono: emolisi, crush syndrome, acidosi, pseudoipokaliemia.

Lo score HOPE prende in considerazione i seguenti fattori: età, sesso, temperatura corporea, valore del potassio sierico al momento del ricovero in ospedale, il tipo di esposizione al freddo (asfissia o non asfissia), durata della rianimazione cardio-polmonare. L’utilizzo dello score HOME permette di evitare delle ECMO inutili. (www.hypothermiascore.org, www.hypothermiascore.ch, www.hypothermiascore.fr)